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Marx, Engels e… Stefano Franscini
“Stefano Franscini è senza alcun dubbio una delle personalità più stimate di tutta la Svizzera. Fu essenzialmente lui che nel 1830 riuscì a ottenere che il Ticino rimpiazzasse la vecchia costituzione oligarchica con una democratica; era ancora lui che marciava in testa alla rivoluzione del 1840 che rovesciò la dominazione del clero e dell’oligarchia; fu sempre Franscini a mettere freno alla corruzione e agli sprechi e ancora lui riorganizzò in questo povero cantone di montagna l’insegnamento del tutto degenerato sotto la guida dei monaci. E’ un radicale risoluto!”
A scrivere queste parole (qui liberamente e sinteticamente tradotte) il 29 novembre 1848 sulla “Nuova Gazzetta Renana” (leggi originale) è uno dei maestri del socialismo scientifico, Friedrich Engels, compagno di lotte di Karl Marx. Non siamo di fronte ad una boutade, si tratta al contrario di un ragionamento basato sull’analisi concreta del cosiddetto “stato di cose presenti”, ossia del contesto nel quale ci si trova e in cui i comunisti, anche se minoritari, devono avere la capacità di operare per incidere il corso della storia determinando un cambiamento in senso anzitutto progressista, e in prospettiva – naturalmente la speranza è l’ultima a morire – rivoluzionario. Qualche mese prima, in effetti, era uscito a Londra il “Manifesto del Partito Comunista” nella cui ultima parte si può leggere: “I comunisti lottano per il conseguimento degli obiettivi e degli interessi immediati della classe operaia, ma al tempo stesso rappresentano nel movimento attuale l’avvenire del movimento stesso (…). In Svizzera sostengono i radicali, senza disconoscere che questo partito è composto di elementi contraddittori. (…) I comunisti appoggiano ovunque ogni movimento rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti”.
Le condizioni descritte dal grande comunista sono certamente mutate, se ci limitiamo a vederle a livello partitico: chi potrebbe mai oggi riconoscere nel PLR un reale movimento di progresso? Tuttavia non c’è dubbio che un marxista debba saper operare una politica tattica di “fronte unito” (come insegna il buon vecchio presidente Mao) con settori della borghesia nazionale e delle masse popolari contro la cosiddetta “borghesia compradora”, ossia quella parte della classe dirigente che, pur di far profitto, svende qualsiasi principio e valore.
Sostenere un radicale doc come Brenno Martignoni (al di là di passate scelte partitiche inopportune e al di là della personale simpatia – o meno – del personaggio) come elemento di scombussolamento del consociativismo oligarchico di Bellinzona (che univa borghesia, massoneria e una parte della medesima socialdemocrazia!) si è rivelata una scelta ponderata che ora ha 4 anni di tempo per dimostrare effettivamente – nella piccola ma non indifferente realtà comunale – una capacità d’azione per riportare in una politica mortificata dall’affarismo liberista, l’etica e il senso civico più profondo del servizio pubblico. Allo stesso modo dialettica e non dogmatica è stata l’occasione di stringere alleanza col movimento “Il Noce”, che ha letteralmente fatto esplodere la macchina partitocratrica (e mafiocratica) della Capitale, e che ha saputo trovare – al di là dell’accusa abusata di populismo – un rapporto con la popolazione e la classe operaia. E, come Marx e Engels insegnano, i comunisti non devono essere eremiti, ma stare nelle contraddizioni della società capitalista senza perdere di vista – umilmente ma con determinazione – gli obiettivi della giustizia sociale, dell’uguaglianza ed evidentemente del socialismo più umano!
Nietzsche e Marx non si davano la mano…
L’estrema destra e i rifondarli concordano nel sostenere che Nietzsche era un sant’uomo che i nazisti hanno sfruttato. Nessuno si chiede però, fra le tante filosofie presenti sul mercato (sì il mercato, perché ormai è una moda citare filosofi per farsi vedere colti), perché Hitler abbia scelto proprio quella di Nietzsche.
Vogliamo conoscere un po’ di più questo grande filosofo osannato da tutti? Nietzche esalta l’immoralità come strumento di abbattimento della morale borghese. E’ evidente che in quanto marxista io sia contro la morale borghese, tuttavia il movimento operaio mi ha insegnato che alla morale borghese va contrapposta una nuova morale, quella della libertà emancipatoria. Insomma, se è vero che il filosofo tedesco vedeva la crisi in cui era finito il sistema borghese della fine dell’800 e i suoi valori (e questo accadeva anche per un aumento delle contraddizioni di classe in quella società), nello stesso tempo Marx ed Engels, padri del socialismo scientifico cui tutti noi dovremmo riferirci (dialetticamente, e non pensando che questi maestri siano delle mummie) parlavano di comunismo per uscire da quella situazione. Nietzsche, invece, cosa faceva? Come giustamente dicono i marxisti-leninisti italiani (che forse hanno studiato un po’ più di filosofia di tanti che pensano di rifondare il comunismo allontanandosi da Marx), Nietzsche predicava l’uscita da quella crisi sociale “attraverso l’accentuazione e l’esaltazione proprio di quei caratteri che stanno alla base della società classista: l’individualismo, il dominio di una aristocrazia di uomini eletti sulla maggioranza considerata alla stregua di schiavi senza anima né valore, senza alcun diritto alla felicità e al benessere, la spietatezza, la sopraffazione, la guerra e la conquista fine a sé stesse, come metodo di selezione naturale di una razza superiore (il cosiddetto superuomo), spingendo tali valori fino alle più estreme e folli conseguenze, al di là di ogni concetto di bene e di male, pur di farli trionfare”. Nietzsche non solo non ritiene necessario lottare contro le disuguaglianze di partenza (di classe) ma addirittura ritiene impossibile un riscatto per chi è in una condizione di sfruttamento. Nietzsche era quindi agli antipodi delle idee egualitariste di Rousseau, ad esempio. Leggiamo questa citazione: “Tutto ciò che blandisce, che allevia e che porta avanti il ‘popolo’ o la ‘donna’, opera in favore del suffragio universale, cioè a dire del dominio dell’uomo inferiore”.
E dopo aver detto tutto ciò, secondo voi, c’è da meravigliarsi se qualche decennio più tardi i nazisti recupereranno il pensiero di Nietzsche? Trovo quindi non solo sbagliato ma pericoloso che si cerchi di far accettare al pubblico di sinistra un pensatore che si trova agli antipodi della nostra cultura di emancipazione sociale! La volontà di Rifondazione di farci credere che fra Nietzsche e Marx vi siano elementi di contatto è un grave opportunismo che va condannato senza mezzi termini.
- M. Hostettler del Partito del Lavoro di Berna sul medesimo argomento: leggi in tedesco
Siamo tutti ecologisti: ma sarà poi vero?
In occasione delle incombenti elezioni nazionali, o forse già da qualche tempo a questa parte, tutti si impegnano ad apparire ecologisti. Non so se si tratti solo di moda o di una subdola tattica elettoralista: certamente non si tratta di una reale sensibilità ambientale.
Il Partito del Lavoro, per contro, non ha bisogno di ostentare la propria “verdite” dell’ultimo minuto. Già nel “Capitale”, infatti, il buon vecchio Carlo Marx riconosceva il problema di fondo: “ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalista – diceva – equivale a un progresso non solo nell’arte di derubare l’operaio, ma anche in quella di spogliare la terra”. E’ anche vero, d’altrocanto, che non sempre il movimento operaio ha saputo affrontare la problematica in modo adeguato, cadendo spesso in una sorta di corporativismo pseudo-sindacale in cui il progresso equivarrebbe (?) a posti di lavoro (dimenticando però di vedere l’altra faccia della medaglia).
Nell’attuale modo di concepire il problema della tutela della natura non si dà alla lotta ecologista la sua dimensione globale, la quale non può essere disgiunta dalla lotta per migliori condizioni sociali per l’essere umano, cioè da quello che è un discorso di trasformazione della società. Una società dove i bisogni umani e la produzione dovranno essere strettamente e razionalmente legati l’uno con l’altro, senza subire influenze mercantili.
La problematica ambientale non ha infatti nulla a che vedere con una sorta di degenerazione della società in cui viviamo: al contrario essa è diretta conseguenza di quelli che sono i metodi di produzione capitalistici volti alla massimizzazione del profitto a scapito di esseri umani e risorse naturali.
Occorre quindi, parlando di clima, di natura, di inquinamento, ecc. mettere nella propria agenda politica dei primi passi verso cambiamenti strutturali della società attuale, consistenti in un superamento delle modalità produttive incontrollate che fomentano il consumismo: fintanto, insomma, che la lotta ecologista non assumerà fino in fondo il proprio carattere anti-capitalista e anti-imperialista (cioè di contrarietà allo sfruttamento delle risorse dei paesi poveri), non si affronterà la causa del problema, ma si applicheranno unicamente dei cerotti sugli effetti prodotti da una cultura che chi osanna il libero mercato evita di vedere. In questo senso essere “eco” e anche “liberali” ha un che di ossimorico.